ANNO 14 n° 118
L'analisi Vincere non basta più. Bisogna saper governare
di Americo Mascarucci
04/01/2016 - 02:00

Caro direttore,

Non so proprio come si risolverà la crisi al Comune di Viterbo ma qualunque ne sarà l’esito credo che un dato di fatto sia innegabile: non si può stare insieme a dispetto dei santi. Non voglio affrontare qui un discorso politico e di parte.

Per cinque anni ho lavorato come addetto stampa alla Provincia di Viterbo con l’amministrazione di centrodestra guidata da Marcello Meroi. Quell’amministrazione è riuscita, pur faticosamente, a terminare il mandato, ma come molti ricorderanno il presidente Meroi ad un certo punto di fronte all’impossibilità di portare in porto un rimpasto di giunta capace di soddisfare le esigenze di riequilibrio di tutte le forze in campo, fu costretto a dimettersi e dopo aver ritirato le dimissioni, a varare una giunta tecnica che restò in carica per circa tre mesi, fino a quando i partiti della maggioranza finalmente non riuscirono a trovare la quadra.

Questo per dire che non è mio interesse attaccare l’amministrazione Michelini in quanto di centro-sinistra (mi perdonerà l’amico Francesco Serra se mi permetto di considerarla tale), visto che sono comunque il primo a riconoscere che anche il centrodestra in più occasioni, non ha dato grande prova di coesione ed efficienza amministrativa a causa dell’elevato tasso di litigiosità delle proprie maggioranze.

Premesso ciò è però oggi a tutti chiaro come l’operazione messa in piedi alle ultime elezioni amministrative al Comune di Viterbo da parte del Pd, fu un’operazione chiaramente ''sfacciata'' oltre che decisamente ''offensiva'' sul piano politico. Si andò a pescare, con tanto di passaggio a primarie puramente formali, una persona per bene, un imprenditore di successo, un esponente di punta dell’associazionismo cosiddetto bianco (leggi Coldiretti), un cattolico. Intorno a lui, qualcuno, ha costruito un’operazione politicamente legittima ma altrettanto politicamente ed intellettualmente ''indigesta''; una ''grande armata Brancaleone'', una ''maionese impazzita'', un ''esercito di Franceschiello'', un coacervo di contraddizioni e di ambiguità propedeutico solo ed unicamente al raggiungimento di un obiettivo; la vittoria ad ogni costo. Dentro la coalizione che ha appoggiato Michelini è stato buttato dentro di tutto e di più: il mondo ex comunista rappresentato dai Ds e da Sel; il mondo ex democristiano di matrice popolare; mezzo centrodestra compresi ex assessori e consiglieri comunali che avevano sostenuto le precedenti amministrazioni comunali di Gabbianelli e di Marini (e chi non se l’è sentita di esporsi in prima persona, ha mandato avanti  ''figli e figliastri''); ex sindaci di Forza Italia contrari persino ad esporre nei propri uffici le foto dell’ex Presidente della Repubblica Napolitano perché comunista. Come se tutto ciò non bastasse sono pure usciti fuori certi innesti di destra e di estrema destra in pure stile botanico (ricordate il celebre Trifoglio che girava fino a qualche anno fa?) e dulcis in fundo, visto che al primo turno ci si era pure scordati per strada qualcuno, ecco che al ballottaggio è arrivato ''l’intellettuale del finismo (da Gianfranco Fini) in salsa antiberlusconiana'' che si è portato dietro tutte le contraddizioni di un movimento presentato come di rottura rispetto alla politica tradizionale e che si è invece ritrovato poi con tutte e due i piedi dentro quello stesso sistema che diceva di voler abbattere.

Certo, per vincere a Viterbo era chiaro a tutti che la sinistra dovesse indossare l’abito di destra, che il rosso dovesse colorarsi di nero; peccato però che non si trattasse di una partita di campionato utile per le qualificazioni ma di governare il capoluogo della Tuscia per cinque anni. E allora ecco che quel ''dentro tutti e a tutti i costi'', alla luce di quanto sta avvenendo a Palazzo dei Priori, appare oggi operazione ancora più politicamente ed intellettualmente “disonesta”. A Michelini va riconosciuto il coraggio di averci messo la faccia, forse rassicurato dal fatto che il regista dell’operazione era personaggio troppo in vista e sufficientemente navigato da non aver calcolato anche gli inevitabili rischi che sarebbero conseguiti dall’organizzazione del raffazzonato esercito di estrema sinistra – sinistra- centro sinistra – centro- centrodestra- destra . Ciò nonostante l’amministrazione Michelini rischiasse sin da subito di somigliare al ben noto ''Prodi due'' ossia quel Governo tenuto in vita dall’anomala maggioranza Mastella-Ferrero e che qualcuno a Viterbo ben conosceva.

Indipendentemente da come la crisi si risolverà, è tuttavia evidente come quella politica del ''vincere ad ogni costo'' non paghi più. Per troppi anni si è sentito ripetere che ''l’importante era vincere, poi tutto si sarebbe affrontato e risolto''. Una formula che non regge più e che, oltre ad esporre le amministrazioni a crisi ripetute e continue, a rimpasti e rimpastini da perfetto manuale Cencelli, a dimissioni minacciate, date, ritirate o meno, rischia di far perdere ai cittadini quell’ultimo scampolo di credibilità di cui ancora la politica può godere. E alla fine il Grillo di turno, volenti o nolenti, rischia da ex comico di apparire drammaticamente più serio di tanti accreditati strateghi politici incapaci di districare le ingarbugliaste matasse da loro stessi create con la presunzione di poter dettare tutto a tutt.i

Forse è il caso di ripartire dai programmi e su questi poi trovare uomini e alleanze senza andare alla ricerca di quella indispensabile prevalenza numerica ritenuta essenziale per vincere. La vittoria dura un giorno, l’amministrazione deve, o meglio dovrebbe, durare cinque anni. Pura utopia? Può darsi, ma fra astensionismo cronico e ascesa dei tanto detestati populismi, andare avanti con l’andazzo di sempre significa non aver compreso che il mondo, quello politico in primis, è davvero cambiato.

Americo Mascarucci





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